Scheda tecnica
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: William Monahan
Fotografia: Michael Ballhaus
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Scenografie: Teresa Carriker-Thayer
Costumi: Sandy Powell
Musiche: Howard Shore
Interpreti: Leonardo Di Caprio, Matt Damon, Jack Nicholson, Martin Sheen, Mark Wahlberg, Ray Winstone, Vera Farmiga, Alec Baldwin
Produzione: Warner Bros. Pictures, Vertigo Entertainment, Initial Entertainment Group, Plan B Entertainment, Media Asia Films Ltd.
Distribuzione: Medusa
Nazione: USA
Anno: 2006
Durata: 152 min.
Caratteristiche tecniche: 35mm - Colore - Dolby Digital
Recensione e informazioni tecniche da Cinemavvenire, Sergio Di Lino
Wednesday, November 08, 2006
Penso di dover ancora mangiare tanto pane duro prima di essere in grado di scrivere una recensione seria su film di questo calibro, come ha fatto Weltall qui>>, soprattutto non avendo avuto l'occasione di vedere Infernal Affairs. Lascio allora l'arduo compito a Sergio di Lino che ha scritto questo bel pezzo su cinemavvenire.
"Chi ha seguito passo passo, sugli organi di informazione, la genesi, la gestazione e la lavorazione di The Departed avrà sicuramente accusato qualche legittimo moto di preoccupazione verso le sorti di un progetto che in partenza poteva apparire ricco e fertile di suggestioni, ma che lungo il cammino si è accidentato da solo, complici volontari una serie di scelte abbastanza "eccentriche" da parte dei realizzatori.L’incontro tra Martin Scorsese e il noir hongkonghese era infatti, sulla carta, un evento che chiedeva solamente di essere celebrato: il padrino della violenza metropolitana, l’esegeta "esistenzialista" del crimine organizzato, massificato, ridotto a puro segno-merce dell’incedere della postmodernità (chiaro che l’universo-Scorsese non è solo questo, ma nel caso specifico è questo peculiare versante della poetica scorsesiana a essere interpellato), "doveva" necessariamente, presto o tardi, misurarsi con il suo più convinto e convincente contraltare, in tutte le declinazioni possibili, che vanno dalle ibridazioni "forti" con il mélo all’heroic bloodshed più tonitruante. Era inevitabile, proprio perché Scorsese non ha mai nascosto la sua ammirazione per quel cinema così "altro", eppure così vicino al suo modo di "sentire" la violenza, arrivando a considerare A Better Tomorrow, il capostipite del genere prodotto da Tsui Hark e diretto da John Woo, come il punto di non ritorno del cinema noir contemporaneo.Ecco allora palesarsi all’orizzonte la possibilità di mettere le mani sul (e nel) progetto di remake della trilogia Infernal Affairs+Infernal Affairs II+Infernal Affairs III, la serie cinematografica firmata da Andrew Lau (in primis) e Alan Mak, che ha marcato un ulteriore turning-point nella percezione spettatoriale del genere noir e nella sua penetrazione nell’immaginario collettivo. La sceneggiatura del rifacimento USA, affidata alle mani di William Monahan (Le crociate di Ridley Scott quale fiore all’occhiello del suo curriculum), sposta l’azione a South Boston, la zona più malfamata della città più intellettuale degli Stati Uniti, e questa crasi è già esplicativa dell’operazione di radicale replacement dello script originale di Alan Mak e Felix Chong: in luogo delle triadi e della polizia di Hong Kong, qui ci sono i bostoniani di origine irlandese, "figli" dello stesso Cattolicesimo oppressivo, oscurantista e punitivo che Scorsese ha spesso messo in scena coi suoi gangsters italo-americani (si pensi in particolare a Goodfellas).Diciamolo pure: lo spostamento semantico non ha fatto bene a Scorsese (che afferma di essersi accostato alla sceneggiatura senza sapere che si trattasse di un remake, e di aver rifiutato di vedere gli originali "per non farmi influenzare"…). Innanzitutto, della trilogia al completo rimane ben poco: lo scheletro dello script di The Departed ripercorre soprattutto la traccia narrativa del primo Infernal Affairs, e solo nel finale affiorano tracce fabulatorie di Infernal Affairs III; di Infernal Affairs II, che in realtà è un prequel del primo Infernal Affairs, nessuna traccia, e ciò compromette la profondità di sguardo e la dimensione epica del racconto, che invece risultava l’atout vincente di una trilogia in cui, proprio in virtù di ciò, il tutto era infinitamente superiore alla somma delle parti.Ma questo sarebbe un inconveniente minimale, o non sarebbe affatto tale, se il film trovasse una sua coesione interna. Invece, Scorsese esplora le "dinamiche di scambio" fra Bene e Male con mano insolitamente incerta. Mette il poliziotto "reietto" Billy Costigan (Leonardo Di Caprio) nella condizione di infiltrarsi nella gang di Frank Costello (Jack Nicholson), mentre il protegé di quest’ultimo Colin Sullivan (Matt Damon) entra in polizia con il compito di fungere da "osservatorio interno" per conto della malavita; The Departed esplora così due binari paralleli, quello della Legge e dell’Ordine opposto a quello del Crimine e del Caos, adottando due punti di vista reciprocamente "alieni" in quanto sradicati dal loro contesto privilegiato. La mimesi dei due infiltrati è pressoché perfetta, perché Scorsese tratta il duopolio Costigan-Sullivan come due lati dello stesso foglio bianco, lasciando che sia il "colore" del milieu in cui agiscono a caratterizzare i loro movimenti, le loro azioni, il loro oscillare schizofrenico fra maschera e volto. Ma – e qui sta il grosso "buco" di The Departed rispetto a Infernal Affairs e seguiti – questo raffinato gioco di ricollocazioni semantiche e simboliche non sottende a una dialettica della visione del mondo, lasciando spazio semmai proprio a ciò che intendeva evitare: una netta separazione fra Bene e Male, che pur non riconoscendosi fra loro rimangono sin troppo elementarmente riconoscibili a chi guarda, anche per via di alcuni vezzi "espressionisti" che la regia non riesce a tenere adeguatamente a bada: si veda l’incipit, con il personaggio di Costello, incarnazione ferina del Male Assoluto, ripreso costantemente in penombra (trattandosi di un flashback retrodatato di diversi anni rispetto al tempo della narrazione principale, esso serve anche a "mascherare" le troppe rughe di Nicholson); e si segua con particolare attenzione tutta la prova dello stesso Nicholson, che sicuramente fornisce un architrave simbolico importante a tutto il testo (anche per manifesta inferiorità del suo dirimpettaio, il capo della polizia Oliver Queenan, interpretato da un Martin Sheen partecipe ma troppo poco carismatico per reggere il confronto con la debordante personalità dell’altro), ma al tempo stesso ne delimita fatalmente i confini, proiettando tutta l’evoluzione della narrazione sulla sua figura, che diviene così – e anche questa è una differenza determinante rispetto a Infernal Affairs – l’agente unico dei destini degli altri personaggi: non è un caso se, sparito il personaggio di Sheen, la narrazione si faccia oltremodo confusa, alla ricerca – perlopiù a tentoni – di un degno epilogo per Costello in vista della resa dei conti finale.In questo modo, Scorsese attribuisce in maniera quasi matematica Colpa ed Espiazione (il personaggio di Di Caprio, agli occhi dei suoi "veri" superiori, deve in qualche modo "riparare" le colpe della sua famiglia…), Santità e Dannazioni, secondo una morale cattolica del contrappasso che nella realtà hongkonghese era assente: in tal senso, la scelta del milieu irlandese è funzionale, ma sin troppo stereotipata, come dimostra in maniera decisamente didascalica l’inaspettata – e, in tale contesto, accessoria – punizione finale del malvagio; la stessa che invece, in Infernal Affairs III assumeva i contorni di una dolente tragedia e sfiorava le tonalità dell’esistenzialismo.Detto questo, il film è al solito un mirabile sfoggio di regia, con due dei collaboratori abituali di Scorsese, il direttore della fotografia Michael Ballhaus e la montatrice Thelma Schoonmaker, in stato di grazia (penombra iniziale di Nicholson a parte, ma quella non è colpa del direttore della fotografia…). Eppure, nella controversa produzione recente di Scorsese, continuiamo a preferire gli squilibri (dis)organizzati di Gangs of New York e l’immersione psicanalitica mascherata da big parade Vecchia Hollywood di The Aviator. Il voto è di (immutata e inscalfibile) stima."
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