Thinking shattered Nicola > 新しい翼をもった僕!: November 2006

shattered Nicola > 新しい翼をもった僕!

イタリア人 > 男性> 三十歳 > 日本語の学生 > 空港のセキュリティーの仕事 > 飛行機の操縦士 > 空想家 > 日本映画の大ファン > その他 Italiano >Maschio >Bianco >30 anni >studente di giapponese >addetto alla sicurezza aeroportuale >pilota di aerei >sognatore >appassionato di cinema giapponese >continuerei ma non c'è spazio >sono alla continua ricerca di qualcosa che non trovo<

Thursday, November 23, 2006

男たちの大和 (Yamato) - Anteprima

In uscita il 17 dicembre nelle sale Giapponesi un nuovo kolossal di produzione TOEI sulla storia della corazzata Yamato, belligerante nel secondo conflitto mondiale in forze alla Marina Imperiale Giapponese. Il film è diretto da Junya Sato, alla sua trentacinquesima fatica, e scritto dallo stesso Sato traendo spundo dai libri storici di Jun Henmi, Ketteiban otoko-tachi no Yamato (ue) e Ketteiban otoko-tachi no Yamato (shita). Tra il cast da segnalare You Aoi, la piccola stella lanciata da Shunji Iwai, già vista nei ruoli di Setsuko "Alice" Arisukawa in Hana e Alice (2004) e Shiori Tsuda nel più vecchio All about Lily Shou Shou (2001). Speriamo in un lavoro originale che prenda spunto il meno possibile dai canoni del Kolossal Hollywoodiano.

Tuesday, November 14, 2006

Facendo danni a Ovodda

In occasione di Cortes Apertas in Barbagia, siamo andati ad Ovodda con una spedizione Giappo-Italiana.
Si imbasticono buoni rapporti coi villici

Questo muso è più grande di quello di Tifa! Muso-Muso!

Photos by Davide Cassanello all rights reserved bla bla bla..

Thursday, November 09, 2006

Come per i migliori libri, e opere, capita sempre che il titolo differisca così tanto dalla vera essenza del prodotto artistico o letterario al punto che il possibile fruitore ne sia addirittura allontanato. Prendo sempre in esempio il saggio di Umberto Eco in coda al romanzo “Il Nome Della Rosa”. Tale titolo deriva da un esametro in lingua Latina di Bernardo Morliacense, del XII secolo, ed Eco dice a proposito: “Un narratore non deve fornire interpretazioni della propria opera, altrimenti non avrebbe scritto un romanzo, il quale è esso stesso una macchina per generare interpretazioni. Ma uno dei principali ostacoli alla realizzazione di questo virtuoso proposito è proprio il fatto che un romanzo DEVE avere un titolo. Un titolo purtroppo è già una chiave interpretativa. (…) L’idea del Nome Della Rosa mi venne quasi per caso e mi piacque subito perché la Rosa è una figura simbolica così densa di significati, da non averne quasi più nessuno. (…) Il lettore ne risultava giustamente depistato, non poteva scegliere un’interpretazione, e anche se avesse colto le possibili letture nominaliste del verso finale ci arrivava appunto alla fine, quando già aveva fatto chissà quali altre scelte. Un titolo deve confondere le idee, non irregimentarle”. Ed ecco che uno scemotto come me che entra in un cinema, vede un cartellone con un nome biblico scritto a caratteri cubitali, delle facce conosciute come Brad Pitt, Kate Blanchett, un regista bravo come Alejandro Gonzales Inarritu, (e non abbastanza famoso da essere considerato scontato), e cominciano a balenare in mente considerazioni e possibili interpretazioni. Adoro il cinema indipendente, adoro entrare in un cinema ed essere sorpreso da un film, capita sempre più di rado, tranne quando le grandi catene di distribuzione si decidono a distribuire opere d’essai: successi non incredibili, ma sopra le aspettative, come è successo a Cannes 2006 con codesta pellicola. Ricordo “Magnolia”, una produzione USA, del 1999, di Paul Thomas Anderson, un titolo incerdibilmente anonimo, ma bello, che non c’entra nulla con la trama ma che nasconde segretamente al suo interno un film bellissimo. Forse questa volta ci risiamo, il Cineworld di Cagliari è diventato un essai, la sala era semivuota, la compagnia era giusta e ho trovato un altro piccolo tesoro da custodire nei miei ricordi. Non ho mai visto Amores Perros, ho visto altresì 21 grammi ma ricordo poco, se non una costruzione simile, storie parallele, tanto dramma e sofferenza: Babel ha un plot simile. Abbiamo una famiglia marocchina (linea 1), una famiglia americana (linea 2), una famiglia messicana (linea 3), e una famiglia giapponese (linea 4). Le storie di tali famiglie si compenetrano in maniera perfetta da formare una visione d’insieme abbastanza solida e chiara, gli sviluppi di questa storia sono retti da un sapiente montaggio, e penso stia qui la bravura di questo regista. Siamo in mezzo alle montagne del Marocco, ad un tiro di schioppo dal deserto: Ahmar è il padre di due ragazzi, Yussef e Ahmed. Da loro un giorno arriva un vicino, Abdullah, che porta come merce in vendita un fucile di precisione, un Winchester calibro .270 a singola azione. Ahmar compra il fucile per darlo ai suoi ragazzi che lo aiutano nella pastorizia, al fine di scacciare gli sciacalli dalle greggi. Ahmed, il più piccolo dimostra di essere maggiormente portato nel tiro rispetto a Yussef. Un giorno, non sapendo come passare il tempo, i due si esercitano nel tiro a segno, e scelleratamente sparano contro un autobus che trasporta turisti americani, colpendo gravemente Susan, la moglie di Richard, una coppia americana in vacanza in Marocco. I due hanno due bambini, sono reduci dalla morte di un terzo neonato mancato tragicamente in circostanze naturali. Durante la loro assenza Amelia, una donna messicana, bada a loro nella loro casa di San Diego. La sciagura occorsa alla coppia stravolge gli impegni di Amelia, che non può presenziare all’imminente matrimonio del figlio, dovendo per ovvi motivi rimanere coi bambini a casa. Il fucile Winchester era stato regalato ad Abdullah da Yasuhiro, un cacciatore giapponese, alla fine di una fruttuosa battuta di caccia. Yasuhiro è il padre di Chieko, una ragazzina sordomuta, e vedovo della moglie suicida. Vedendo l’evolversi di queste quattro storie mi viene da pensare che “Babel” sia il riferimento ai mali dell’umanità intesi in tutti i modi possibili , che portano distruzione, dolore, panico, autodistruzione, lacrime e sangue. Il male principe è il fucile, che passato in mani sbagliate porta all’evolversi di una situazione incredibilmente grave, un gioco sbagliato porta una sperduta collina pietrosa e polverosa al centro dell’attenzione del mondo, grazie ai media e alla paura del terrorismo, inteso come ossessione dell’accoppiare la violenza e il mondo arabo ad esso. Non ho mai pensato che dalle armi potesse derivare qualcosa di buono, (forse per questo mi piacciono quelle finte, esorcizzano quelle vere), questo film me ne da la conferma. Tale situazione porta la governante dei bambini di Susan e Richard a prenderli con sè per portarli al matrimonio, un nipote ubriaco e la border police americana faranno il resto, lasciando i tre sventurati a vagare nel deserto; Ahmar, Yassuf e Ahmed pagheranno cara la loro ingenuità. Dolore, violenza, paura, rimorso, ingenuità, delinquenza, alcolismo, armi, terrorismo, razzismo, sono la Babele dei giorni nostri. Rimane Chieko. Sordomuta, vive la sua deficienza sensoriale in una Tokyo troppo veloce per aspettarla, troppo rumorosa per essere vivibile, ma ai suoi occhi troppo silenziosa per essere decifrabile. La sua storia rimane sospesa nell’aria, si collega alle altre attraverso il solito fucile, ma lei è diversa, vive un dramma troppo personale, troppo intimo per essere fruibile dagli altri, nessuno pare accorgersene, sembra che Inarritu ci apra il suo mondo per amore e per pietà sua, come fosse una sottile e privata confidenza. La sua delicatezza rende la sua sofferenza di adolescente insopportabile. Ai suoi occhi nessuno la vuole, la prima esperienza amorosa tarda ad arrivare e ai suoi occhi la responsabilità di ciò sta nel suo essere diversamente abile. Questo la porta ad un graduale processo di autodistruzione, annullamento, durante il quale rimane sempre lucida e cosciente, come assistesse alla sua decadenza consapevolmente. Vederla offrirsi nuda ad un uomo maturo mi ha dato un dolore atroce, una richiesta di aiuto talmente disperata da far male, e il suo pianto sordo e rumorossissimo, nel mutismo che la copre come un velo, è un aprirsi la pancia con un coltello ed aspettare la fine. Dice Inarritu: “Ho realizzato che ciò che rende gli esseri umani felici può differire in maniera incisiva di caso in caso, ma ciò che ci rende miserabili e vulnerabili oltre le differenze culturali, la lingua o il tenore di vita è lo stesso per tutti”. Babele costruì una torre alta, altissima, ed essa crollò a causa di un grave vizio strutturale, dato da un più grave vizio morale. Tutti i personaggi di questa storia lontani ma vicini, hanno sofferto pene dissimili ma i loro cuori sono stati pervasi dagli stessi sentimenti, Chieko nuda al trentesimo piano di un grattacielo a Tokyo, Ahmed nascosto dietro una pietra che vede Yassuf caduto sotto colpi di arma da fuoco, Richard che tampona con un dito la ferita d’arma da fuoco della moglie, Amelia che con la morte nel cuore lascia i bambini in mezzo al deserto per cominciare a vagare senza dove in cerca di aiuto. E Babele crolla, dieci, cento, mille volte dentro ognuno di loro, come dentro ognuno di noi, ogni giorno. Vittime per lo più di disegni superiori alla nostra volontà, noi siamo sempre interessati dal crollo, sia che ne siamo responsabili, sia che non lo siamo. Un film bellissimo.

Babel, USA, 2006

Regia: Alejandro Gonzales Inarritu

Ecco per voi il trailer

Wednesday, November 08, 2006


Penso di dover ancora mangiare tanto pane duro prima di essere in grado di scrivere una recensione seria su film di questo calibro, come ha fatto Weltall qui>>, soprattutto non avendo avuto l'occasione di vedere Infernal Affairs. Lascio allora l'arduo compito a Sergio di Lino che ha scritto questo bel pezzo su cinemavvenire.
"Chi ha seguito passo passo, sugli organi di informazione, la genesi, la gestazione e la lavorazione di The Departed avrà sicuramente accusato qualche legittimo moto di preoccupazione verso le sorti di un progetto che in partenza poteva apparire ricco e fertile di suggestioni, ma che lungo il cammino si è accidentato da solo, complici volontari una serie di scelte abbastanza "eccentriche" da parte dei realizzatori.L’incontro tra Martin Scorsese e il noir hongkonghese era infatti, sulla carta, un evento che chiedeva solamente di essere celebrato: il padrino della violenza metropolitana, l’esegeta "esistenzialista" del crimine organizzato, massificato, ridotto a puro segno-merce dell’incedere della postmodernità (chiaro che l’universo-Scorsese non è solo questo, ma nel caso specifico è questo peculiare versante della poetica scorsesiana a essere interpellato), "doveva" necessariamente, presto o tardi, misurarsi con il suo più convinto e convincente contraltare, in tutte le declinazioni possibili, che vanno dalle ibridazioni "forti" con il mélo all’heroic bloodshed più tonitruante. Era inevitabile, proprio perché Scorsese non ha mai nascosto la sua ammirazione per quel cinema così "altro", eppure così vicino al suo modo di "sentire" la violenza, arrivando a considerare A Better Tomorrow, il capostipite del genere prodotto da Tsui Hark e diretto da John Woo, come il punto di non ritorno del cinema noir contemporaneo.Ecco allora palesarsi all’orizzonte la possibilità di mettere le mani sul (e nel) progetto di remake della trilogia Infernal Affairs+Infernal Affairs II+Infernal Affairs III, la serie cinematografica firmata da Andrew Lau (in primis) e Alan Mak, che ha marcato un ulteriore turning-point nella percezione spettatoriale del genere noir e nella sua penetrazione nell’immaginario collettivo. La sceneggiatura del rifacimento USA, affidata alle mani di William Monahan (Le crociate di Ridley Scott quale fiore all’occhiello del suo curriculum), sposta l’azione a South Boston, la zona più malfamata della città più intellettuale degli Stati Uniti, e questa crasi è già esplicativa dell’operazione di radicale replacement dello script originale di Alan Mak e Felix Chong: in luogo delle triadi e della polizia di Hong Kong, qui ci sono i bostoniani di origine irlandese, "figli" dello stesso Cattolicesimo oppressivo, oscurantista e punitivo che Scorsese ha spesso messo in scena coi suoi gangsters italo-americani (si pensi in particolare a Goodfellas).Diciamolo pure: lo spostamento semantico non ha fatto bene a Scorsese (che afferma di essersi accostato alla sceneggiatura senza sapere che si trattasse di un remake, e di aver rifiutato di vedere gli originali "per non farmi influenzare"…). Innanzitutto, della trilogia al completo rimane ben poco: lo scheletro dello script di The Departed ripercorre soprattutto la traccia narrativa del primo Infernal Affairs, e solo nel finale affiorano tracce fabulatorie di Infernal Affairs III; di Infernal Affairs II, che in realtà è un prequel del primo Infernal Affairs, nessuna traccia, e ciò compromette la profondità di sguardo e la dimensione epica del racconto, che invece risultava l’atout vincente di una trilogia in cui, proprio in virtù di ciò, il tutto era infinitamente superiore alla somma delle parti.Ma questo sarebbe un inconveniente minimale, o non sarebbe affatto tale, se il film trovasse una sua coesione interna. Invece, Scorsese esplora le "dinamiche di scambio" fra Bene e Male con mano insolitamente incerta. Mette il poliziotto "reietto" Billy Costigan (Leonardo Di Caprio) nella condizione di infiltrarsi nella gang di Frank Costello (Jack Nicholson), mentre il protegé di quest’ultimo Colin Sullivan (Matt Damon) entra in polizia con il compito di fungere da "osservatorio interno" per conto della malavita; The Departed esplora così due binari paralleli, quello della Legge e dell’Ordine opposto a quello del Crimine e del Caos, adottando due punti di vista reciprocamente "alieni" in quanto sradicati dal loro contesto privilegiato. La mimesi dei due infiltrati è pressoché perfetta, perché Scorsese tratta il duopolio Costigan-Sullivan come due lati dello stesso foglio bianco, lasciando che sia il "colore" del milieu in cui agiscono a caratterizzare i loro movimenti, le loro azioni, il loro oscillare schizofrenico fra maschera e volto. Ma – e qui sta il grosso "buco" di The Departed rispetto a Infernal Affairs e seguiti – questo raffinato gioco di ricollocazioni semantiche e simboliche non sottende a una dialettica della visione del mondo, lasciando spazio semmai proprio a ciò che intendeva evitare: una netta separazione fra Bene e Male, che pur non riconoscendosi fra loro rimangono sin troppo elementarmente riconoscibili a chi guarda, anche per via di alcuni vezzi "espressionisti" che la regia non riesce a tenere adeguatamente a bada: si veda l’incipit, con il personaggio di Costello, incarnazione ferina del Male Assoluto, ripreso costantemente in penombra (trattandosi di un flashback retrodatato di diversi anni rispetto al tempo della narrazione principale, esso serve anche a "mascherare" le troppe rughe di Nicholson); e si segua con particolare attenzione tutta la prova dello stesso Nicholson, che sicuramente fornisce un architrave simbolico importante a tutto il testo (anche per manifesta inferiorità del suo dirimpettaio, il capo della polizia Oliver Queenan, interpretato da un Martin Sheen partecipe ma troppo poco carismatico per reggere il confronto con la debordante personalità dell’altro), ma al tempo stesso ne delimita fatalmente i confini, proiettando tutta l’evoluzione della narrazione sulla sua figura, che diviene così – e anche questa è una differenza determinante rispetto a Infernal Affairs – l’agente unico dei destini degli altri personaggi: non è un caso se, sparito il personaggio di Sheen, la narrazione si faccia oltremodo confusa, alla ricerca – perlopiù a tentoni – di un degno epilogo per Costello in vista della resa dei conti finale.In questo modo, Scorsese attribuisce in maniera quasi matematica Colpa ed Espiazione (il personaggio di Di Caprio, agli occhi dei suoi "veri" superiori, deve in qualche modo "riparare" le colpe della sua famiglia…), Santità e Dannazioni, secondo una morale cattolica del contrappasso che nella realtà hongkonghese era assente: in tal senso, la scelta del milieu irlandese è funzionale, ma sin troppo stereotipata, come dimostra in maniera decisamente didascalica l’inaspettata – e, in tale contesto, accessoria – punizione finale del malvagio; la stessa che invece, in Infernal Affairs III assumeva i contorni di una dolente tragedia e sfiorava le tonalità dell’esistenzialismo.Detto questo, il film è al solito un mirabile sfoggio di regia, con due dei collaboratori abituali di Scorsese, il direttore della fotografia Michael Ballhaus e la montatrice Thelma Schoonmaker, in stato di grazia (penombra iniziale di Nicholson a parte, ma quella non è colpa del direttore della fotografia…). Eppure, nella controversa produzione recente di Scorsese, continuiamo a preferire gli squilibri (dis)organizzati di Gangs of New York e l’immersione psicanalitica mascherata da big parade Vecchia Hollywood di The Aviator. Il voto è di (immutata e inscalfibile) stima."

Scheda tecnica
Regia: Martin Scorsese

Sceneggiatura: William Monahan
Fotografia: Michael Ballhaus
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Scenografie: Teresa Carriker-Thayer
Costumi: Sandy Powell
Musiche: Howard Shore
Interpreti: Leonardo Di Caprio, Matt Damon, Jack Nicholson, Martin Sheen, Mark Wahlberg, Ray Winstone, Vera Farmiga, Alec Baldwin
Produzione: Warner Bros. Pictures, Vertigo Entertainment, Initial Entertainment Group, Plan B Entertainment, Media Asia Films Ltd.
Distribuzione: Medusa

Nazione: USA
Anno: 2006
Durata: 152 min.
Caratteristiche tecniche: 35mm - Colore - Dolby Digital

Recensione e informazioni tecniche da Cinemavvenire, Sergio Di Lino

Monday, November 06, 2006

Ultimate Ghouls'n Goblins (PSP)

Pubblicità in stile tutto giapponese per introdurre l'ultima versione del famoso videogioco per PSP, se non fosse ostico e frustrante all'inverosimile, e difficile, se fossi magari nei primi anni novanta, con uno SNES, magari avrei il coraggio di affrontare un'avventura così, ma i videogiochi sono cambiati, sono più facili, non sono delle imprese epiche, come finire Donkey Kong Country 2, o Super Mario World scoprendo i livelli segreti. Sembra averlo capito anche Arthur, che riposta l'armatura affronta il mondo in mutande. E' un mondo difficile, Arthur, ma arriverà il momento della riscossa. Anzi, è già arrivato, indossa l'armatura e vai, ma penso che questa volta non ti seguirò, e pochi lo faranno, a parte alcuni hard gamers. Buona fortuna Arthur.

Japanese style commercial to make you know about the last version of the famous videogame released for PSP, I wish it could be less though and hard to beat, I wish I could still live in the early 90's having a SNES in my hands, maybe I could face it, but, videogames evolved, they are easier, they aren't epic adventures to beat, just like beating Donkey Kong Country 2, or Super Mario World discovering all secret levels. It seems like Arthur knew it, and after taking off the armor faces the world only wearing his pants. It's a hard world man, but the revenge is gonna come. Now it's the time, wear your armor again and go, I think I won't follow you this time, I think not so many people will do it, except some hard gamers. Good luck Arthur!

Saturday, November 04, 2006

Lezioni di inglese erotico per giappnesi

Questo non potete perdervelo...

Scatola di sardine in salsa Giapponese

Ehi venite qui, c'è un vagone libero! (I tipi che ridono devono essere sardi, inoltre guardate lo sguardo d'odio rivolto a loro della tipa in primo piano di spalle!)

Friday, November 03, 2006

No alle droghe pesanti!

Sottoscrivi anche tu la petizione contro l'utilizzo delle droghe pesanti nelle scuole cinesi, una pratica da biasimare!

Thursday, November 02, 2006

茶の味・山の歌 (The taste of tea - The mountain song)

山・山・山・・・・山よ山よ、山よ山よ、山は生きている。Uno dei momenti più alti del cinema giapponese contemporaneo, indimenticabile, un must!

Wednesday, November 01, 2006

G-LOC

Non è solo il titolo di un videogioco di un pò di anni fa, è l'effetto dato dall'aumento di forza gravitazionale nell'atto di una correzione repentina nell'asse di beccheggio di un aeroplano, generato dalla forza centrifuga. Questo può arrivare fino a 9 volte la forza normale di gravità negli aerei da caccia più moderni. In questi momenti il sangue tende a stagnare nella parte bassa del corpo del pilota non irrorando più il cervello di esso, il primo organo che perde funzionalità sono gli occhi, che hanno continuamente bisogno di irrorazione sanguigna: si ha allora la "visione nera", una macchia nera parte dalla periferia del campo visivo e in circa trenta secondi oscura completamente la vista, sopravviene poi lo svenimento. Le tute di volo dei piloti di tali aerei sono "anti-G", cioè hanno un sistema pneumatico situato nella zona delle gambe che si collega al sistema pneumatico dell'aereo, al sopraggiungere di una forza G comprime le gambe del pilota facendo in modo che il sangue rimanga nella parte superiore del corpo. Tali regimi di volo richiedono un grande allenamento e una grande preparazione ed efficienza fisica, cosa che non ha il povero passeggero che partecipa a questo volo, con un F-A18A dei Blue Angels, la pattuglia acrobatica della US Navy. Steve, sei con me?